Quella del fallimento, che in modi diversi può riguardare sia gli operatori sia i destinatari degli interventi, è considerata spesso solo come un’esperienza disturbante, scomoda, a tratti dolorosa.
E capita che, per difendersene, la si neghi o se ne prendano le distanze, ciascuno restando solo con se stesso ad affrontare i sentimenti ambivalenti che tale esperienza ha generato. Diverso sarebbe se, a partire da una costruzione condivisa delle ipotesi e degli obiettivi dei percorsi da attuare e da una rappresentazione dialogica dei processi e degli esiti attesi, si arrivasse a considerare il fallimento anche come un utile strumento di lavoro.

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