Cosa ha fatto l’improvvisato barista della prima parte di questo post (oppure non improvvisato, non sappiamo se fosse o meno un professionista della ristorazione) allestendo il bar estemporaneo e temporaneo in quel luogo? Qualsiasi cosa noi si dica, attiene al campo delle possibili interpretazioni.
Se il racconto avesse riguardato l’allestimento di un bar con le stesse caratteristiche durante la festa patronale del paese nello stesso luogo, le nostre interpretazioni sarebbero state probabilmente diverse e forse più accurate.
Per riuscire ad elaborare quelle interpretazioni noi attingiamo a delle teorie, nel primo caso su come sia un terremoto e di cosa possa significare un bar in quel contesto, nel secondo caso su quello che conosciamo di feste di paese e di come si svolgano.
Utilizzo il termine enactment per indicare che, nella vita organizzativa, le persone spesso producono parte dell’ambiente che affrontano. (Weick, 1997). Un barista facendo il proprio lavoro e gestendo il suo bar, può proporsi in modo cortese, mantenendo pulito l’ambiente e servendo prodotti di buona qualità, oppure può trattare male i clienti, non pulire il banco in cui serve da bere e vendere bibite annacquate. In entrambi i casi, qualsiasi sia la conseguenza sul piano degli affari, non si da un qualche tipo di ambiente monolitico, singolare, stabilito, esistente in maniera distaccata ed esterna […] Al contrario, in ciascun caso, le persone sono parte integrante dei loro stessi ambienti. Esse agiscono e nel farlo creano i materiali che creano i vincoli e le opportunità da affrontare. (Weick, 1997).
Forse la situazione del barista della nostra storia è più semplice da comprendere dal punto di vista dell’enactment: non esistono teorie di riferimento a cui attingere su cosa sia “un bar estemporaneo nel post terremoto”, tant’è che non abbiamo neppure un nome per definirlo, ed è evidente che, in questo caso, il significato di quell’esperienza si è dovuto costruire mentre la si realizzava. Weick (1997), chiama questo processo di costruzione di significati sensemaking che distingue dall’interpretazione perché il sensemaking concerne i modi in cui le persone generano quello che interpretano. […] il sensemaking riguarda evidentemente un’attività o un processo, mentre l’interpretazione può essere un processo, ma descrive altrettanto bene un effetto […] Anche quando l’interpretazione viene trattata come un processo, la natura di tale processo è implicitamente diversa. L’atto dell’interpretare implica che qualche cosa esista là, un testo nel mondo, che attende di essere scoperto o avvicinato. Invece il sensemaking riguarda meno la scoperta di quanto riguardi l’invenzione. Intraprendere un processo di sensemaking significa costruire, filtrare, incorniciare, creare la fattualità e trasformare il soggettivo in qualche cosa di più tangibile. (Weick, 1997).
Quello che è successo è quindi una vera e propria invenzione: non si tratta di un’invenzione del barista che ha progettato un servizio e ha deciso di sperimentarlo in quella situazione, ma, anche se il barista avesse pensato ad un progetto dettagliato (e noi non possiamo saperlo), l’invenzione è stata prodotta durante l’azione.
La competenza che il barista ha espresso è stata quella di riuscire a connettere sue capacità personali (peraltro facilmente accessibili a molti, come ad esempio fare un caffè) con un contesto, e nel comprendere che questa connessione, che in una situazione normale non avrebbe potuto esistere, poteva avere potenzialità creative. In questa competenza, che può essere definita capacità negativa, sta insomma la fonte di un particolare tipo di agire: un agire che per così dire nasce dal vuoto, dalla perdita di senso e di ordine, ma che è orientato all’attivazione di contesti e alla generazione di mondi possibili. (Lanzara, 1993)
<seconda parte Organizzazioni che lavorano con le persone 2. Loose coupling
>quarta parte Organizzazioni che lavorano con le persone 4. Organizzazioni temporanee